La ribellione degli studenti inglesi al pensiero unico in economia - di Benedetta Scotti

Pubblicato il da borsaforextradingfinanza

Fermento e preoccupazione nel mondo accademico britannico: gli studenti di economia sono in rivolta. Un numero crescente di futuri ricercatori e professori si sta svegliando dal torpore intellettuale, nel quale le grandi schools fanno piombare i loro pupilli, e chiede a gran voce un cambiamento radicale nel metodo d’insegnamento. Sono sessantacinque le associazioni studentesche da più trenta paesi del mondo che hanno già firmato il manifesto del movimento, partito dalle università britanniche, da Glasgow a Manchester, che si battezza come Iniziativa Studentesca Internazionale per il Pluralismo nelle Scienze Economiche (Isipe la sigla inglese).

Quello che i giovani dissidenti maggiormente criticano dell’odierno establishment accademico è la totale mancanza di una prospettiva pluralista nel campo economico, dominio incontrastato del pensiero unico neoliberista. Non si tratta di una sterile critica alla dottrina della scuola di Chicago, ma di una ribellione all’idea che esista una sola via vera, giusta e inconfutabile per fare economia. “Nessuno prenderebbe seriamente in considerazione un programma di laurea in psicologia focalizzato solo sul Freudianesimo”, recita il manifesto. La maggior parte degli studenti, infatti, non ha l’occasione di frequentare, durante il percorso accademico, un corso di storia economica o di storia del pensiero economico, rimanendo così all’oscuro di teorie alternative a quella neoclassica, dalla tradizionale economia politica a quella post-keynesiana, per citarne alcune. Inoltre la presunzione che l’economia sia una scienza a sé stante, in grado di spiegare in maniera autosufficiente i fenomeni riguardanti l’allocazione delle risorse, ha escluso dai curricula accademici l’insegnamento delle scienze sociali e umanistiche, fondamentali per acquisire una visione organica delle relazioni umane e, quindi, anche di quelle economiche. Gli “agenti economici” sono in primo luogo esseri umani i cui comportamenti non sono dettati da ineluttabili leggi fisiche come astri e pianeti, ma da complessi meccanismi che vanno ben oltre il modello dell’homo oeconomicus come agente perfettamente razionale, spiegabile, dunque, in termini puramente scientifici.

La parola d’ordine è, quindi, interdisciplinarità, per riportare il mondo reale nelle aule universitarie e fornire agli studenti strumenti per affrontare le sfide multidimensionali del ventunesimo secolo, allenando, in primis, le capacità critiche. Le grandi business schools sfornano, infatti, schiere di analisti in grado di risolvere meccanicamente i più complessi modelli economici, ma senza dare loro la possibilità di riflettere sugli assunti di base o sulle implicazioni etico – sociali di tali teorie. “Ogni volta che sostengo un esame di economia, è come se mi trasformassi in un robot” afferma uno dei giovani ideatori del manifesto. Da fertili laboratori d’idee, i dipartimenti di economia si sono trasformati in fabbriche di prodotti in serie, progettati per assolvere alla loro funzione in un settore, quello del business e della finanza, che trae beneficio dalla mancanza di pensiero critico. “Una lobotomia pagata a suon di tasse universitarie” commenta cinicamente The Guardian, unico giornale autorevole che si è occupato del caso nel silenzio- non casuale- della stampa anglosassone.

Le deboli e incerte risposte balbettate dagli economisti “mainstream” di fronte alla recente crisi hanno rivelato l’impotenza del pensiero neoliberista che, incapace di proporre una soluzione concreta, è costretto ad imporsi in maniera autoritaria, attaccando, come ogni totalitarismo che si rispetti, la capacità di pensare autonomamente. E’ la fine dell’educazione e l’inizio dell’indottrinamento. L’appello dei giovani studenti, dall’Inghilterra all’Argentina, dalla Germania al Brasile, mantiene viva la speranza che l’economia possa ancora avere un impatto positivo sulla società. Il cambiamento sarà difficile ma, come conclude il manifesto, “it’s already happening”, è già in corso.

Fonte: L'intellettuale dissidente

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