Letta: il governicchio del conte zio - di Fabrizio Casari

Pubblicato il da borsaforextradingfinanza

http://www.altrenotizie.org/images/stories/2013-2/lettino2.jpgE’ già cominciata la litania pubblicistica sul governo “giovane”, con un maggior numero di donne, con i “volti nuovi”, il primo ministro di colore e via dicendo. Ma la verità è che quello presentato da Enrico Letta al Quirinale è un governicchio. Una versione 2.0 di quelli che nella Prima repubblica venivano definiti “governi balneari”. S’indicava con ciò lo scopo fondamentale della loro esistenza: bypassare l’estate, durante la quale le varie correnti democristiane affilavano le armi che poi avrebbero scagliato alla vigilia dell’autunno in vista dei nuovi assetti congressuali.

Quello presentato dal premier incaricato Letta spicca per la conclamata incompetenza dei ministri nella materia del loro dicasteri e si caratterizza per l’accentuata debolezza intrinseca, certificata dal profilo minore dei suoi esponenti. Una compagine nella quale si avverte, assordante, l’assenza dei big dei diversi partiti che partecipano all’alleanza di governo.

E’ chiaro che il governo nascerà, che otterrà cioè la fiducia dei due rami del Parlamento. Il voto palese con il quale si assegna o si nega la fiducia rende del resto politicamente impossibile agguati dei franchi tiratori. Ma il profilo minore della compagine governativa fotografa in maniera chiara la situazione: PD, PDL e Lista Civica prendono atto dell’ineludibilità del percorso ma sono perfettamente coscienti che nemmeno una parte degli obiettivi che vorrà raggiungere sono alla portata di questo governo.

Alla Camera e al Senato potranno ascoltarsi programmi che indichino nella riforma del sistema politico e nelle politiche economiche obiettivi alti, ma i risultati concretamente ipotizzabili, per la distanza tra i partiti nella lettura del processo riformatore e per l’oggettiva crisi economica e la scarsa disponibilità ad ingaggiare un braccio di ferro con Bruxelles sulla ricetta anticrisi, questo governicchio non dispone nemmeno di una quota minima dell’autorevolezza che sarebbe necessaria. Per questo i partiti impegnano nell’avventura le seconde e terze file, così da lasciarsi libere le mani per decidere quando staccare la spina.

http://www.altrenotizie.org/images/stories/2013-2/palazzo%20chigi.jpgVi sono comunque alcuni elementi di lettura politica nella vicenda interna dei partiti e nella linea politica che questo Esecutivo rappresenta che possono essere evidenziati. Per il primo aspetto, per quanto riguarda il PD emerge nettamente come la compagine ministeriale veda la corrente democristiana vecchia e nuova (popolari e renziani) la sola ad essere rappresentata. D’altra parte è la stessa componente che ha segato le gambe al tavolo di Bersani, non risparmiando la richiesta di un governo d’unità nazionale dal giorno dopo il voto fino alla rielezione di Napolitano.

I numeri indicano come l’area della componente più legata alla solidarietà sociale sia stata schiacciata da quella più liberista. La spiegazione possibile dell’assenza degli esponenti provenienti dai DS è che la contrarietà all’operazione politica è molto più netta di quello che appare e che sarà il congresso straordinario a sancire l’ormai insostenibile convivenza tra ex-PCI ed ex DC.


Nel campo del PDL lo scontro tra “falchi e colombe”, è stato ricomposto dal proprietario del partito, che ha però ben presente quanto il governo serve a spaccare definitivamente il PD ma si tiene ben stretta l’arma del voto. La presenza di Alfano e Lupi, infatti, impegna fino a un certo punto il PDL, pronto a cogliere l’opportunità di mosse politiche utili a mettere in sicurezza il suo capo, ma contemporaneamente disponibile, tra qualche mese, a staccare la spina. Intanto si potrà dire arrivederci al progetto di legge sul conflitto d'interessi e alla legge sull'ineleggibilità, così come alla proposta di legge a firma dell'attuale Presidente del senato sulla corruzione. Anche solo cominciare a discuterne comporterebbe il ritiro del PDL e la conseguente caduta del governo.

Una volta che il PD abbia regolato i suoi conti e il centro si sia riorganizzato, sarà pronto a correre alle urne indicando come Monti prima e Letta poi siano stati inutili alla soluzione dei problemi del Paese. Nel frattempo, il segno delle larghe intese pare essere rappresentato dalla presenza di Nunzia Di Girolamo: non conosce niente delle politiche agricole, ma è la compagna dell’esponente democristiano del PD, Boccia. Zii e nipoti non erano sufficienti a chiudere le trattative?

http://www.altrenotizie.org/images/stories/2013-2/bersani-letta.jpgLa parte più preoccupante è però rappresentata dalla linea politica di questo governo, segnatamente sul piano delle politiche economiche. Il Premier è notoriamente un esponente dell’area dell’idolatria europea, da intendersi come Commissione non certo come la intendeva Altiero Spinelli.

La Farnesina consegnata alla Bonino, che sulle politiche economiche è persino più ultraliberista di Monti, indica già con nettezza quale sarà la disponibilità alla riconversione in senso keynesiano delle politiche di bilancio ultraliberiste. Per quanto messe ogni giorno più in discussione da ormai una parte significativa dell’Europa e del mondo politico e accademico internazionali, le ricette ultramonetariste dei custodi della Bundesbank non vedranno certo in Letta e nella Bonino i loro avversari più accaniti.

D’altra parte, nemmeno Napolitano ha mai voluto aprire lo scontro politico con Bruxelles, del cui rigorismo si è fatto anzi interprete principale. Napolitano, Letta e la Bonino esprimono con relativi distinguo una linea di politica economica incompatibile con le necessità di riforma strutturale delle politiche economiche continentali. Una riforma del patto di stabilità, la revisione dei parametri di Maastricht, la modifica dei compiti della BCE e l’accellerazione del processo di unità fiscale a livello continentale rimarranno lettera morta, e sarà ancora Draghi, per il tempo che gli resta a disposizione alla guida della BCE, a dover ridurre il danno attraverso iniezioni regolari di liquidità.

Il dato politico generale è però uno: il PDL, uscito sconfitto dalle urne, dove ha perso sei milioni di voti, ha la golden share del governo. Il PD, che comunque le elezioni le aveva vinte, ha scritto l’ultima pagina del suo Bignami. L’uomo delle televendite, ancora una volta, ha umiliato gli uomini delle scuole di partito.
Fonte: www.altrenotizie.org

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