" Il Consiglio di Stato fa un regalo alle fondazioni bancarie" di Antonio Vanuzzo

Pubblicato il da borsaforextradingfinanza

http://www.linkiesta.it/sites/default/files/imagecache/immagine_620_fixed/grilli-guzzetti.jpgLe fondazioni bancarie potrebbero trovarsi un regalo sotto l’albero che vale qualche miliardo di euro. Il Consiglio di Stato ha aperto alle loro richieste per valutare le loro azioni privilegiate nella Cassa depositi e prestiti, chiedendo però una legge per fissare il concambio ed evitare pericolose battaglie legali.

Le fondazioni bancarie potrebbero ritrovarsi un gradito regalo sotto l’albero di Natale: un regalo che vale qualche miliardo. Il benefattore è il ministero dell’Economia. Sia che le fondazioni decidano di rimanere azionisti privilegiati della Cassa depositi e prestiti, sia che escano esercitando il diritto di recesso, a pagare saremo sempre noi. Ieri il Consiglio di Stato ha emesso un parere, richiesto dal ministero dell’Economia, sulla conversione delle azioni privilegiate nel capitale della Cdp. Si tratta di una trentina di pagine in cui – pur ritenendo legittime le posizioni del dicastero guidato da Vittorio Grilli – di fatto c’è un’apertura alle obiezioni avanzate dagli enti raggruppati nell’Acri, la lobby presieduta dal numero uno di Cariplo Giuseppe Guzzetti.

 

In sintesi, per evitare il rischio di una battaglia legale che potrebbe «mettere a repentaglio la patrimonializzazione della Cdp», con la necessità di accantonare fondi ad hoc e rendere impossibile la chiusura di «operazioni in corso», il Consiglio chiede una legge ad hoc per determinare il valore «di concambio e di liquidazione […] volti a circoscrivere la meritevolezza della partecipazione delle fondazioni agli incrementi patrimoniali conseguiti successivamente al loro ingresso» nel capitale della Cdp.

 

Il punto del contendere riguarda appunto l’esborso per trasformare, entro il 31 dicembre, le azioni privilegiate in ordinarie, come prevede lo statuto della Cdp, oppure esercitare il diritto di recesso. Nel primo caso, come ha stimato la società di revisione Deloitte, a cui la Cdp ha chiesto una perizia, l’operazione costerà 5 miliardi di euro, a fronte di circa 1 miliardo investito nel 2003, quando le fondazioni sono entrate al 30% del capitale all’epoca della trasformazione in Spa. Soldi che le fondazioni sono convinte di non dover sborsare, supportate sia dal parere del professor Portale, sia dalle osservazioni pro veritate di Piergaetano Marchetti e Natalino Irti, che hanno sollevato alcuni dubbi sull’interpretazione dell’art. 9 comma 3 dello Statuto dell’ente presieduto da Franco Bassanini. L’articolo in questione – sul quale le parti sono in disaccordo dal 2009, quando è stato cioè fissato al 2012 il termine per la conversione – dice che:

 

In tutti i casi di esercizio del diritto di recesso, il valore di liquidazione delle azioni privilegiate risulta pari alla frazione del capitale sociale per cui è esercitato il recesso, decurtata - con riferimento agli utili degli esercizi sociali chiusi sino al 31 dicembre 2008 compreso - della differenza fra il dividendo effettivamente percepito dalle stesse azioni privilegiate e il dividendo preferenziale spettante alle medesime azioni […].

 

Traducendo: se le Fondazioni vogliono uscire dal capitale, a fronte di un investimento di 1,050 miliardi di euro nel 2003, si ritroverebbero in tasca 662 milioni di euro, cioè il capitale decurtato dei dividendi, pari a 388 milioni di euro. Una disposizione che, per lf Fondazioni, contrasta con l’art. 2437 del Codice civile: «È nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso […]». Come spiega il Consiglio di Stato, il nocciolo giuridico della diatriba sta nel capire se l’articolo 2437 «faccia espresso riferimento solo alle cause di recesso considerate inderogabili» o meno. E se, di conseguenza, il valore delle azioni possa seguire criteri diversi da quelli dello statuto. Ad esempio, quello che tiene conto «dell’effettivo apporto di tali azioni alla consistenza patrimoniale della società», come recita il testo di un emendamento al Dl Crescita in Senato, firmato dai componenti della commissione parlamentare di vigilanza sulla Cdp, presentato a inizio settimana.

 

La differenza è notevole, poiché «implicherebbe che il valore del bene acquistato sarebbe superiore al prezzo pagato dalle fondazioni al momento dell’ingresso in Cdp». E infatti il patrimonio netto al 2012 è di 16,5 miliardi, rispetto a un capitale sociale di 3,5 miliardi. Per questo il Consiglio di Stato, nelle conclusioni, riconosce che «potrebbe essere ritenuto equo e quindi meritevole di tutela l’interesse a conseguire quote del patrimonio in caso di exit […]», tenendo però conto «della bassa rischiosità della posizione delle fondazioni […]», che deriva da una serie di privilegi tra cui «una sostanziale attenuazione della partecipazione al rischio d’impresa, in reagione del riconoscimento di un dividendo preferenziale, del diritto di recesso in caso di mancata percezione del dividendo, della postergazione nelle perdite». Per la cronaca, la cedola delle fondazioni è del 3% più l’inflazione.

 

In Piazza Affari le azioni privilegiate quotano sempre meno delle ordinarie, ad esempio le Exor privilegiate valgono 16,85 euro rispetto ai 19,64 euro delle ordinarie, o ancora le Unipol privilegiate 1,22 euro in confronto a 1,65 euro delle ordinarie. È altrettanto vero che l’andamento è correlato, quindi se salgono le une salgono le altre. Eppure, come ha rilevato il Consiglio di Stato, e come è evidente a qualsiasi investitore, la loro rischiosità è ben diversa. C’è però un altro rischio per il Tesoro, principale azionista dell Cdp: più si alza l’asticella per il conguaglio, più il recesso delle Fondazioni potrebbe costare caro al Tesoro. Il comma 1 dell’articoo 9 dello Statuto dell’ente guidato da Gorno Tempini dice che «Il diritto di recesso deve sempre essere esercitato dai soci titolari di azioni privilegiate per l’intera partecipazione». E dunque più valgono in caso di conversione, più valgono anche in caso di recesso.

 

Rimane poco tempo per chiudere la questione senza strascichi che blocchino la politica industriale italiana. Per Maria Leddi (Pd), membro della Commissione bilancio del Senato, la via più breve è un emendamento al Dl Crescita che tenga conto delle osservazioni del Consiglio di Stato, un passaggio «ineludibile». Dall’Acri, che non commenta ufficialmente la vicenda, la sensazione è che il ministero dell’Economia abbia finalmente considerato le Fondazioni come azionisti di peso. D’altronde, uno dei maggiori sponsor di Grilli, quando l’attuale ministro era fra i candidati alla carica di governatore della Banca d’Italia, è proprio il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti. L’accordo si troverà. ( Fonte: www.linkiesta.it)

Twitter : @antoniovanuzzo

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