Il cerchio si stringe attorno al segreto bancario - di Armando Mombelli

Pubblicato il da borsaforextradingfinanza

http://www.swissinfo.ch/media/cms/images/afp/2013/04/052_01431605-35561012.jpgPressioni dall’UE, dagli Stati uniti, dal G20: i prossimi mesi saranno decisivi per il segreto bancario. Il governo svizzero cerca ancora di guadagnare tempo, ma si ritrova sempre più solo dopo l’accettazione da parte del Lussemburgo dello scambio automatico d’informazioni.

“La Svizzera prosegue la sua strategia del denaro pulito”: con un articolo pubblicato su Le Monde, la ministra elvetica delle finanze illustrava il 10 aprile i vari passi intrapresi negli ultimi anni dalla Confederazione per lottare contro l’evasione fiscale. Un tentativo di allentare le crescenti pressioni sul segreto bancario: “Quando intraprendiamo delle riforme, ci aspettiamo dalla comunità internazionale che riconosca gli sforzi compiuti, senza attaccare la Svizzera e minacciare misure di ritorsione”, sottolineava Eveline Widmer-Schlumpf.
Le speranze della consigliera federale hanno però subito un duro colpo proprio lo stesso giorno, con la decisione del Lussemburgo di voler adeguarsi allo scambio automatico d’informazioni bancarie, praticato da 25 dei 27 membri dell’UE. Anche l’Austria, l’altro guardiano del segreto bancario all’interno all’UE, ha manifestato negli ultimi tempi la sua disponibilità ad intavolare negoziati in quest’ambito.
Un cedimento da parte del Lussemburgo e dell’Austria esporrebbe la Svizzera ad attacchi ancora più pesanti da parte dell’UE. Finora i tre paesi si erano protetti vicendevolmente. Lussemburgo e Austria hanno regolarmente dichiarato di non voler rinunciare al segreto bancario, fino a quando la Svizzera non avrebbe fatto altrettanto. Berna ha respinto a sua volta le pressioni di Bruxelles, affermando che l’UE deve dapprima convincere Lussemburgo e Austria.

Nuove regole americane

Questi tatticismi hanno funzionato per anni e a poco sono valse le pressioni della Commissione europea. Ma ora Bruxelles ha ricevuto un colpo di mano, forse decisivo, da parte degli Stati uniti. Nei prossimi mesi anche Svizzera, Austria e Lussemburgo saranno chiamati a ratificare l’accordo FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act), con il quale Washington esige da tutti i paesi europei di ottenere sistematicamente dal 2014 i dati bancari dei cittadini americani residenti in Europa. In pratica, il segreto bancario non esiste più nei confronti della potenza americana. A meno di voler rischiare pesanti misure di ritorsione.
“Tenendo conto delle sanzioni previste da Washington, non è realistico immaginare di respingere questo accordo. Non solo le banche svizzere non potrebbero più operare negli Stati uniti, ma non potrebbero più nemmeno detenere titoli americani. È impensabile proporre una gestione patrimoniale alla clientela, senza poter accedere al più grande mercato finanziario del mondo”, rileva Maurice Pedergnana, economista dell’Università di Lucerna.
Né il Lussemburgo né l’Austria e, probabilmente, neppure la Svizzera possono rifiutare ancora a lungo all’UE quanto stanno per concedere agli Stati uniti. Il 14 aprile, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna hanno così rilanciato l’offensiva contro il segreto bancario, iscrivendo lo scambio automatico d’informazioni quale piatto forte del prossimo vertice dell’UE, in maggio. L’obbiettivo è che diventi lo standard per tutti i Ventisette e anche per la Svizzera dal 2015.

Mesi decisivi

Nuove pressioni sul segreto bancario sono giunte questa fine settimana anche dai ministri delle finanze del G20, che hanno esortato la comunità internazionale ad adottare lo scambio automatico d’informazioni. In quest’ambito, Eveline Widmer-Schlumpf ha affermato che la Svizzera è pronta a discuterne, ma a condizione che le nuove norme valgano per tutti, comprese le oasi fiscali offshore. Questa posizione – sostenuta per la prima volta anche dal presidente dell’Associazione svizzera dei banchieri Patrick Odier – non è però condivisa dalla maggioranza del governo e del parlamento, che respingono ogni discussione sullo scambio automatico d’informazioni o cercano perlomeno di allontanarlo il più possibile.
Un attendismo incomprensibile per Maurice Pedergnana. “Sono posizioni che corrispondono ad una vecchia mentalità e ad un modello di affari ormai superato. La Svizzera non potrà sfuggire a negoziati su questo tema con l’UE, il suo partner economico più importante. Siamo un piccolo paese troppo integrato nel contesto economico globale per comportarci come un’isola”.
“Ma, se aspettiamo di essere messi sotto pressione, riduciamo ogni margine di manovra nei negoziati. La Svizzera dovrebbe invece presentare già entro maggio una chiara strategia e delle proposte concrete, in modo da poter ottenere a sua volta concessioni dall’UE. In primo luogo il libero accesso delle sue banche ai mercati finanziari europei”.

Retorica europea

Una visione condivisa in parlamento dalla sinistra. “Abbiamo due possibilità: possiamo aspettare di finire su una lista nera o grigia, come già successo nel 2009, per poi muoverci con precipitazione. Oppure possiamo prendere nota di quanto sta succedendo nel mondo e unirci con Austria e Lussemburgo esigendo delle condizioni nei negoziati con l’UE. Ad esempio che i nuovi standard vengano estesi anche alle circoscrizioni con regimi fiscali speciali dei paesi anglosassoni”, propone il deputato socialista Carlo Sommaruga.
Gli schieramenti del centro – ad eccezione del Partito borghese democratico – preferiscono aspettare. “La Svizzera non deve muoversi, fino a quando Bruxelles ci chiede soltanto di cedere senza contropartite. L’UE esercita grandi pressioni su di noi per ragioni definite morali, ma in realtà sta cercando soltanto di proteggere il suo mercato interno, rifiutando alle nostre banche di accedervi”, sostiene il deputato liberale radicale Christian Lüscher.
Su posizioni sempre ferme la destra, che rifiuta qualsiasi concessione sul segreto bancario. “Ci troviamo di fronte alla solita retorica europea che, a torto, abbiamo preso sul serio in passato. L’UE non è attualmente in grado di imporci gran che, anche perché in vari settori è a sua volta molto dipendente dalla Svizzera, pensiamo soltanto ai trasporti. Secondo me, il prezzo di una guerra sarebbe in ogni caso inferiore a quello di una capitolazione, che porterebbe ad un indebolimento della nostra piazza finanziaria”, afferma Yves Nidegger, deputato dell’Unione democratica di centro.

Autore: Armando Mombelli. Fonte: www.swissinfo.ch

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