L'uscita dall'euro? Per l'Italia nessun rilancio. L'opinione di Giuseppe Ragusa
Ne è convinto Giuseppe Ragusa, docente della LUISS di Roma, intervistato da Valori sul tema della moneta unica. Un’intervista realizzata per la preparazione del nostro numero di marzo dedicato proprio all’euro e che oggi vi proponiamo nella sua versione integrale.
Abbandonare l’euro, svalutare, rilanciare la crescita. Per molti è un’equazione scontata. Ma la realtà è molto diversa. Ne è convinto Giuseppe Ragusa, docente di Economia presso l’Università LUISS Guido Carli di Roma intervistato da Valori sul tema della moneta unica. Un’intervista realizzata durante la preparazione del nostro numero di marzo dedicato proprio all’euro e che oggi vi proponiamo nella sua versione integrale.
L’uscita dall’euro, di fatto, non è praticabile, coloro che la propongono ipotizzano un processo fatto di svalutazione, inflazione, aumento della competitività e rilancio dell’economia in una sorta di ritorno agli anni ‘80. Ora, al di là del costo pagato in termini di inflazione, ci sono almeno un paio di problemi: in primo luogo servirebbe un lungo periodo di transizione, diciamo due o tre anni, per riconvertire tutto quanto in lire, a partire dai bilanci bancari, e in quel periodo saremmo esposti alla speculazione internazionale e alla fuga dei capitali; in secondo luogo c’è un altro dato di fatto e cioè che non siamo più negli anni ’70-’80, ovvero abbiamo una diversa struttura di import/export che in definitiva ci penalizzerebbe.
Le faccio un esempio. Proviamo a guardare nelle nostre case e osserviamo quanti oggetti prodotti all’estero possediamo. Sono molti di più che in passato. Quanto ci costerebbe continuare a comprarli con una nuova lira svalutata? È evidente che i prezzi salirebbero così come aumenterebbero i costi delle materie prime che le nostre imprese acquistano all’estero. Che ne sarebbe a quel punto del vantaggio della lira in termini di export?
Il pericolo della spirale debitoria continua ad esserci per il semplice fatto che nel rapporto debito/Pil il denominatore, cioè il Pil, continua a non crescere. Cosa che per altro accade da circa 20 anni. O torniamo ad essere un Paese competitivo, come eravamo in passato, oppure finiremo per ritrovarci in una situazione sudamericana fatta di povertà e debito elevato.
La Bce copre di fatto soltanto i titoli a breve scadenza con una maturity non superiore a tre anni e questo ha indotto l’Italia ad incrementare il debito a breve termine. In altre parole siamo costretti a rinnovare continuamente il debito per saldare le scadenze sempre più ravvicinate e questo, ovviamente, ci espone maggiormente al pericolo dello spread.
È così. Non dimentichiamoci che siamo entrati nell’euro perché non riuscivamo più a gestire le difficoltà del circolo vizioso delle svalutazioni competitive della lira che avevano prodotto inflazione e diminuito la nostra credibilità. Si parla tanto di benefici mancati dell’euro ma non si ricorda quasi mai che non vi abbiamo aderito per trarne benefici quanto per evitare ulteriori perdite. In caso di uscita piomberemmo in una situazione ancora più grave rispetto a quella attuale.